Jazz Ribelle ha incontrato Stefano Di Battista: con lui abbiamo scambiato quattro chiacchiere sul senso della musica e sull'eccezionale affiatamento che questo grande sassofonista dimostra di avere con i membri della propria band quando si esibisce "on stage". Mettetevi comodi e gustatevi questa nostra intervista...
Stefano, abbiamo notato che sul palcoscenico sei anche un grande intrattenitore, oltre che un grande artista!
"Ti ringrazio. Credo che questa sia una dote che sono riuscito ad acquisire istintivamente negli anni, nei miei vari concerti, per riuscire ad alleggerire un po’ quello che è il ruolo del musicista nel comunicare un qualcosa che a primo impatto potrebbe sembrare difficile".
Quanto conta per te l'ironia?
"E' un fattore importante. L’essere un po’ ironico lo vedevo come il modo migliore per tranquillizzare in parte anche il pubblico, per far sì che questo fosse sereno nel considerare gli artisti come persone normali che cercano di dare qualcosa agli altri. Un modo forse di mettere in maggior comunicazione i due lati della musica: chi la produce e chi l’ascolta".
Tra tutti i componenti del tuo gruppo si legge chiaramente una forte complicità, un grande affiatamento...
"L’affiatamento è una di quelle cose che a mio avviso nascono da una tranquillità di fondo con se stessi e con gli altri. Ognuno di noi, per lavorare al meglio, per poter dare il massimo, deve essere rilassato, e quindi cercare di raggiungere una grande conoscenza di se stesso".
Cosa credi che sia importante per un musicista, per raggiungere il giusto mood?
"Sicuramente fondamentali per tutti i musicisti sono le doti che uno ha e il bagaglio culturale, dovuto alle esperienze, che si porta dietro, ma, per quanto ci riguarda, probabilmente la marcia in più ci viene data dalla profonda amicizia che abbiamo istaurato al di fuori: il nostro, infatti, può essere considerato come un rapporto completo, di sincerità, che poi dal palco probabilmente si percepisce".
In questo vostro feeling influisce anche il fatto di suonare insieme da molto tempo?
"Senza ombra di dubbio! Anche il fatto di suonare insieme da molto tempo comporta una grande complicità. Nessuno di noi pone delle barriere nei confronti dell’altro, nè tantomeno esistono problemi nel caso di errori durante le esecuzioni: il rapporto è, infatti, di piena serenità".
Tra le varie manifestazioni a cui hai partecipato la scorsa estate, c'è anche il "Muntagninjazz" di Introdacqua (AQ): come ti è sembrato questo festival?
"Ho trovato questa manifestazione sinceramente straordinaria e molto curiosa, in quanto si svolgeva in questo piccolo paesino, che in fin dei conti non è molto lontano dalle mie origini, e mi faceva uno strano effetto il fatto che ci fosse un così grande interesse da parte degli organizzatori nei confronti della musica jazz. Stupenda è stata anche l’accoglienza calda che tutte le persone che abbiamo trovato ci hanno riservato. Peraltro siamo rimasti tutti quanti felicemente sorpresi dalla bravura della banda del posto, che a fine concerto è salita con noi sul palco per una grande improvvisazione. Li abbiamo trovati davvero degli ottimi musicisti, persone in gamba a cui faccio i miei complimenti".
Se vi dovessero richiamare in futuro, pensi che accettereste l’invito?
"Sì. Secondo me sono riusciti ad organizzare una manifestazione di portata medio-alta che non era assolutamente semplice, in quanto al centro di tutto c’era una musica che non tutti seguono. Mi auguro che questa manifestazione continui negli anni e che conduca sempre più gente ad appassionarsi alla musica jazz".
Valentina Di Pietro
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