Concerto-evento per la rassegna “Sabato in Concerto jazz”, cartellone della Fondazione Pescarabruzzo organizzato dall’associazione culturale Archivi Sonori, con la direzione artistica di Maurizio Rolli.
Sabato 27 febbraio a Pescara (Maison des Arts) ci sarà il live in piano solo di Enrico Pieranunzi, nome tra i più prestigiosi della musica italiana e internazionale, pianista, compositore e arrangiatore. Ingresso libero, inizio ore 18.
“Il piano solo è nella mia concezione di libertà - dice Enrico Pieranunzi - potrebbero esserci degli standard americani, pochi in realtà, pezzi miei, cose completamente improvvisate, incursioni nella musica classica, magari arriva, perché no, un brano di Scarlatti. Non ci sono confini”.
Un viaggio intrigante, soltanto con un pianoforte, cosa accade durante questo percorso?
“C’è una ricerca affascinante, una ricerca che si avvale dello stupore e della curiosità per trovare la magia. Quando suoni i paesaggi che incontri sono sempre diversi e mentre lo fai scopri delle cose impensabili prima. Il pubblico deve potersi portare a casa, alla fine del concerto, un’emozione, una melodia, altrimenti non ha senso”.
Questa ricerca è molto impegnativa, perché in sintesi è la ricerca del bello, la sfida estrema per un artista.
“Qui entreremmo in un discorso filosofico molto lungo, diciamo che la percezione del bello è molto cambiata e cambia ogni giorno. Oggi il mediatico influenza il senso del bello. Se piace a molti allora funziona, io rimango un inguaribile individualista, bisogna seguire le proprie strade a prescindere dal consenso o dal dissenso. La trappola è costituita dalla piacevolezza, una categoria molto pericolosa, per evitare questa trappola gli strumenti più efficaci sono costituti dalla autenticità e dalla profondità”.
Lei è stato un protagonista assoluto della scena jazz internazionale per 30 anni, quali cambiamenti ha vissuto?
“Il jazz cammina sempre, ha una capacità straordinaria di utilizzare in maniera creativa quello che incontra. I musicisti della mia generazione hanno iniziato suonando soltanto pezzi americani, poi è arrivato il momento di comporre cose nostre, poi il confronto con il tango, le melodie latine ed altre sonorità. Il jazz è basato sull’improvvisazione vera, difficile capire dove andrà, ma ha delle potenzialità enormi e le sta vivendo. Dobbiamo rassegnarci ad abbandonare la concezione che avevamo di questa musica venti anni fa, stiamo vivendo un cambiamento molto drastico, ma andrà a finire sicuramente bene, perché al centro rimangono sempre la creatività, l’immaginazione e la sensibilità”.
Creatività, immaginazione e sensibilità. Entrano in gioco anche quando nasce una nuova composizione? Come arriva l’intuizione?
“E’ davvero difficile spiegarlo. Di solito non arriva da quello che stai facendo. In moltissimi casi sono le mani, le metto sul pianoforte e suono qualcosa che già conosco ed emerge qualcosa di diverso che era già sotto di loro. Si tratta sempre di un momento misterioso, si affaccia un elemento nuovo, o grazie alle mani o grazie al canto interno e, poi, segue sempre uno strano momento di silenzio e ti chiedi, ma cos’era?”.
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